Quella “cipolla” maledetta

allucevalgo

Quella “cipolla” maledetta

E’ l’alluce valgo, interessa il primo dito del piede e può procurare dolore fisico ma anche disagio psicologico. Se fa molto male si deve intervenire chirurgicamente. Ma l’operazione si fa in day surgery ed in anestesia locale.

C’è una deformità del piede che colpisce prevalentemente le donne e consiste in una deviazione dell’alluce verso le altre dita. È l’alluce valgo. In genere, questa deformità è accompagnata da una tumefazione dolente della parte interna del piede, la cosiddetta “cipolla”, che altro non è che una forma di borsite, cioè di infiammazione da sfregamento con la calzatura. Questa patologia è spesso associata al dito a martello (anomalia di forma che impedisce l’estensione del dito) di una o più dita del piede, alterazioni dell’appoggio (sovraccarico metatarsale), con dolore piantare. Una ricerca condotta dalla “Trobe University”, di Melbourne, dimostra che l’alluce valgo non solo crea problemi a livello fisico, ma concorre ad apportare disagi anche a livello psicologico. Secondo i ricercatori infatti l’alluce valgo, soprattutto con il passare del tempo e con l’aggravarsi della situazione, oltre che a creare problemi di postura, rischia anche di causare danni al normale benessere psicofisico di chi ne è colpito.

Quali sono le cause?

«Sono molteplici – dice il dottore Domenico Perlongo, ortopedico di Catanzaro – e non ancora del tutto chiarite. La principale sembra essere di tipo meccanico: un sovraccarico e instabilità della parte anteriore del piede che deriva da una curvatura ridotta della pianta (piede piatto). Altre cause possono risiedere in eventi traumatici non curati in modo adeguato, in fenomeni infiammatori, disturbi della postura, debolezza a livello dei muscoli e dei legamenti del piede. Si distinguono forme congenite che si manifestano in giovane età, e forme acquisite che compaiono più avanti nel tempo, in modo caratteristico nelle donne con più di cinquant’anni, e che in genere sono dovute all’uso di scarpe a punta stretta e col tacco alto».

Come intervenire?

«Il primo provvedimento è il cambio di calzature: sono indicate quelle a pianta larga e con tacco basso, massimo quattro o cinque centimetri. Se non basta ad alleviare il dolore si può ricorrere a plantari o a calzature ortopediche: ne esistono di diversi tipi, ma hanno tutti la funzione di raddrizzare l’alluce ed evitare un sovraccarico della parte anteriore del piede. Anche la fisioterapia è indicata. Ma si tratta di palliativi, in grado di rallentare l’evoluzione del processo senza farlo regredire. Nei casi più gravi, infatti, quando il dolore diventa insostenibile, non resta che ricorrere al bisturi».

In cosa consiste l’intervento chirurgico?

«La finalità è quella di ripristinare una corretta forma del piede, garantendo una correzione stabile e funzionalmente valida del primo raggio (viene così denominato il complesso formato dal primo metatarso e dall’alluce). L’intervento può essere eseguito in regime di day surgery o con una notte di degenza. Abitualmente viene praticata un’anestesia periferica. Le tecniche chirurgiche più utilizzate si basano su osteotomie, cioè sezioni ossee, mirate a riportare la testa del metatarso al centro del fulcro funzionale articolare, permettendo di recuperare un’adeguata funzione della muscolatura dell’alluce (muscoli estensori e flessori). Una delle tecniche frequentemente utilizzata è quella mini invasiva di osteotomia del primo metatarso, dove l’osteotomia è lineare, eseguita con una fresa o con una seghetta e bloccata con un chiodo che esce dall’apice dell’alluce e viene mantenuto in sede per circa un mese. Spesso è necessario associare altre procedure chirurgiche, quali la correzione di uno o più dita “a martello” e osteotomie metatarsali».

E dopo l’intervento che succede?

«E’ importante osservare un periodo di riposo con piede in scarico (cercando di ridurre al minimo l’appoggio del piede) per qualche giorno; durante questo periodo si può camminare con una apposita scarpa per gli spostamenti domestici, evitando di stare a lungo in piedi. Nei primi 2 o 3 giorni dall’intervento sarà possibile uscire utilizzando sempre la scarpa post-operatoria che evita di sovraccaricare l’avampiede operato riducendo il dolore. In genere si eseguono medicazioni settimanali e una radiografia del piede dopo la quarta settimana, cui segue la rimozione del filo di K e la possibilità di camminare senza limitazioni di carico. Il recupero completo della funzione motoria avviene dopo circa tre-quattro mesi dall’intervento, anche se molte attività (guidare, andare in bicicletta, etc.) sono possibili dopo quattro settimane. Un buon risultato estetico e funzionale si ottiene nel 95% dei casi; i risultati non soddisfacenti rappresentano il restante 5%: questi insuccessi sono legati alle caratteristiche intrinseche della malattia. L’alluce valgo, infatti, determina un’alterazione biomeccanica costituzionale di tutto il piede, che modifica la funzionalità articolare. Le alterazioni articolari si sviluppano lentamente negli anni e comportano un’usura della cartilagine e degenerazioni del profilo articolare. L’intervento chirurgico è in grado di compensare questi difetti, ma non di eliminarli».

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